Vorremo evitare di
trovarci imbottigliati nel caotico traffico della capitale, così
decidiamo di lasciare Dakar alle prime luci dell'alba. L'aria è
molto umida, si sente l'influsso dell'oceano.
Oggi raggiungeremo
la Peti Cote, dove ci fermeremo per qualche giorno, e dove contiamo
di visitare sia la Riserva naturale di Bandia che la Laguna di
Somone, senza disdegnare naturalmente qualche ora di completo relax
su una delle tante bellissime spiagge che sappiamo esserci in zona.
Man mano che
scendiamo verso sud, con il sole che si alza aumenta anche la
temperatura e purtroppo anche il traffico. Su quest'unica striscia
di asfalto si concentrano macchine, camion “similciminiere”,
autobus stracarichi di persone, mentre gli asinelli e animali “vari”
hanno imparato la legge di sopravvivenza per cui è meglio che stiano
sulla striscia di sabbia a bordo strada.
Intorno a noi
distese di terre color ocra, meravigliosi baobab giganti con le
radici rivolte verso il cielo. L'arrivo in un villaggio ci viene
annunciato dallo spuntare, sui bordi della strada, di piccole
bancarelle dove si vendono le solite quattro cose ammosciate dal
caldo: mandarini, pomodori, patate e cavoli e poco più. Banchetti
irresistibili per milioni di mosche.
All'ora di pranzo
arriviamo a Saly, una delle più rinomate località marine lungo la
costa atlantica africana. Ed infatti, ecco spuntare il primo “viso
pallido” che in sella al suo quad ci sorpassa a folle velocità e
noi dobbiamo sforzarci ed essere tolleranti con il “turista non fai
da te”...
Noi dobbiamo invece
concentrarci su dove trovare da dormire, visto che passeremo qui
qualche giorno sarebbe bello scovare un posto decente.
Le strade
secondarie, come sempre in Senegal, sono delle piste di sabbia
sofficissima sulla quale la nostra Piroga fatica a tenere la presa,
ma la scritta Guesthouse è troppo allettante.
Fa caldissimo, il
sole è a picco. Ci addentriamo verso la zona meno turistica fatta di
piccole e semplici abitazioni che si aprono direttamente sulla
stradina, in giro non c'è nessuno, fa caldissimo, in alcuni punti
Rosanna deve scendere dalla moto, in due è impossibile andare
avanti. La temperatura della Piroga sale. Incrociamo due ragazzi che
provengono dalla direzione opposta che ci salutano con il sorriso,
chiediamo indicazioni sulla Guesthouse, se è troppo lontana devo
fermare la moto altrimenti va in ebollizione. Sono quei classici
momenti in cui uno si chiede “ma chi me l'ha fatta fare a infilarmi
in questo inferno di polvere e caldo?”
“Avanti ancora
cinquanta metri”, ci dicono i due che invece di proseguire per la
loro strada ci vengono dietro e ci aiutano a chiamare Mr Papillon,
proprietario della Guesthouse.
Dietro ad un muro
bianco e a un cancello di metallo si è aperto un paradiso, una sorta
di “haciendas” messicana incorniciata da un rigoglioso giardino
dominato da una stupenda piscina che da tutta l'idea di essere
freschissima...
Noi, impolverati,
sudati, allo stremo e prossimi allo sfinimento non vogliamo sapere
nulla, di qui non ce ne andiamo, a costo di dormire sotto le stelle
a bordo piscina.
Veniamo accolti con
curiosità da parte dell'intera famiglia proprietaria della
Guesthouse, Papillon e Anne, due belgi sulla cinquantina che hanno
deciso di vivere per buona parte dell'anno a Saly e poi figlio,
fidanzata del figlio, nonna, e amico di famiglia che sono invece in
vacanza e che occupano quasi tutte le camere disponibili, tranne una,
la nostra!
Piscina, una birra
La Gazelle fresca e ci sentiamo rinati. Che posto stupendo il
Senegal...
Per cena il menù
prevede pesce freschissimo del mercato della vicina Mbour e che
Papillon deve ancora andare a scegliere al mercato. L'orario migliore
è intorno alle 18, quando i pescatori rientrano in porto.
Recuperate le
energie non vogliamo farci certo scappare l'occasione di poter
visitare con un “locale” il cuore del mercato di Mbour, così
accettiamo l'invito di Papillon di accompagnarlo a fare spese.
Per raggiungere
Mbour evitiamo la trafficata strada principale asfaltata,
attraversando villaggi costruiti sulla sabbia. Girare da queste parti
con la moto carica sarebbe praticamente impossibile, infatti anche la
jeep di Papillon rischia più volte di insabbiarsi.
Dakar sembra lontana
anni luce.
Girare da “soli”
per questi mercati non è semplicissimo, tutti vogliono venderti
qualcosa, si è sopraffatti da potenziali “guide” , non si
riescono a fare foto perché tutti si sono fatti l'idea che quegli
scatti non sono dei souvenirs, ma diventeranno con certezza delle
cartoline.
Quindi, a nostre
spese, abbiamo imparato che, in Senegal, se si vogliono scattare
immagini si finisce per discutere, poi tutto finisce quasi sempre a
strette di mano e sorrisi, ma la situazione è rimane difficile.
Accompagnare
qualcuno che è conosciuto da tutti si rivela un'esperienza unica e
irripetibile.
Tutti al mercato di
Mbour conoscono Papillon, così possiamo infilarci senza problemi
negli angoli più “improponibili” del mercato.
Appena ci
addentriamo tra i banchi del mercato veniamo subito investiti dal
grande vociare, dai colori, dagli odori forti. Tutta Mbour, a
quest'ora, sembra riversarsi al mercato.
La ricerca dei
prodotti più freschi da parte del nostro ospite diventa spasmodica.
Papillon tocca e
annusa pomodori, peperoni, cipolle, poi entra in una contrattazione
fitta con la venditrice. Al mercato a vendere sono quasi tutte donne.
Una cosa è certa,
al mercato bisogna contrattare su tutto sempre. Siamo sicuri che a
lui fanno pagare almeno il doppio rispetto a quanto farebbero con un
senegalese, ma lui sembra stare al gioco.
Noi, invece, non
sappiamo più dove guardare, è tutto così incredibilmente vivace,
tutto è colore.
Siamo tra la folla,
una donna ci passa a fianco con un secchio in testa pieno di frutta
stramatura, un'altra in testa trasporta uno sgabello. Un ragazzino mi
tira per il braccio, ci vuole vendere dei sacchetti di plastica che
porta agganciati a una specie di porta stendardi.
Un altro ci vuole
fare assaggiare un liquido nero e bollente che fa sgorgare dal
rubinetto di un grande termos di acciaio. Decidiamo di assaggiarlo, è
così bollente che non dovremmo farci del male.
E' un caffè forte,
molto speziato che ti esplode in bocca. E' buonissimo.
Il ragazzo ci spiega
che si tratta del caffè Touba, una miscela di arabica, chiodi di
garofano e pepe del Senegal. Si addice perfettamente alla situazione.
Dopo aver acquistato
frutta e verdura, che passeremo a prendere al ritorno, è arrivato il
momento di scegliere il pesce fresco e per questo ci portiamo verso
la parte del mercato che si affaccia sulla spiaggia.
Ancor prima di
addentrarci tra i banchi veniamo investiti da un pungente odore di
pesce che penetra nelle narici. Per fortuna siamo ancora sotto
l'effetto del Touba.
Anche qui la gente è
tanta, e sono tutti intenti a scegliere il pesce migliore e
contrattarne il prezzo. Su un banco notiamo un pesce stranissimo, ha
una pezzatura simile a un'orata ma con dei denti bianchi simili a
quelli umani. Fa un'impressione pazzesca.
Papillon ne acquista
qualche chilo e ci conferma che lo cucinerà in agrodolce quella sera
stessa. Nel suo cesto finiranno anche gamberi, sogliole e pesci che
hanno tutta l'aria di essere branzini.
Tra un banco e
l'altro notiamo gruppi di donne, sedute in cerchio su bassi sgabelli,
abilissime a pulire ceste piene di pesci.
I loro gesti sicuri
e svelti raccontano di una vita impegnata in quel lavoro.
Qualche decine di
metri più in la verso la spiaggia, le piroghe coloratissime
continuano ad arrivare cariche di pescato che viene prontamente
scaricato per essere portato al mercato.
Sulla spiaggia c'è
una marea di persone, ma in quello che a noi pare solo un grande
marasma, tutti sembrano sapere quale è il proprio ruolo. C'è chi si
affanna, chi riposa, chi urla. E le grida e le urla in spiaggia e al
mercato sono tante.
Voci, colori, odori
e sorrisi: il mercato di Mbour sembra concentrare in se l'essenza
dell'Africa!
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