2 Ruote nella Steppa MotoRaid - Frammenti on the road - volume I -

Sono passati diversi mesi dal rientro dal nostro viaggio verso Est.

Ci siamo presi il tempo necessario a metabolizzare questa esperienza, ne siamo tornati completamente frastornati.

Arrivati a casa abbiamo dovuto fare i conti con un “ingorgo” di emozioni, una sovrabbondanza di immagini che avevano deciso, a loro piacere, di affacciarsi nella nostra mente, tutte e contemporaneamente, senza ordine ma ciascuna con un forte tasso di emotività.

Per noi, in questi 50 giorni, è stato quasi come vivere un viaggio ai “confini del mondo”, dove le uniche risorse che alla fine ci erano messe a disposizione erano l'adattamento, l'improvvisazione e una buona dose di fortuna...

Ed ora che è arrivato il momento di raccontarlo, l'emozioni che affiorano sono ancora tante, ma pian piano, il tutto, trova il suo “giusto” spazio nella nostra valigia delle esperienze.

Non abbiamo trovato quello che cercavamo, ma qualcosa di diverso, e forse anche di più sconvolgente...

Mai come in questo caso ci viene in mente la frase di quella canzone che fa

Il viaggiatore viaggia solo e non lo fa per tornare contento, lui viaggia perché di mestiere ha scelto il mestiere del vento”

...

Lungo la Transiberiana, incontriamo piccolissimi villaggi “sgaruppati”, agglomerati di fatiscenti case di legno, la maggior parte delle quali sembra aver ceduto al passare degli anni. Per quanto ci sforziamo, non riusciamo a scorgerne una dritta, pendono una da un lato, un'altra dall'altro. Qui il tempo sembra essersi fermato a qualche secolo fa, tutto è grigio, come se stesse progressivamente per essere seppellito da una coltre di polvere. Ci troviamo di fronte a luoghi in cui persone “stropicciate” sembrano rassegnate a sopravvivere col nulla.

Ma lungo l'itinerario incontriamo ad intermittenza anche grandi città, Kazan, Ufa, Novosibirsk, Irkutsk, Ulan Ude, solo per nominarne alcune; grandi centri urbani che ci fanno scoprire un'altra Siberia.
Città dove scopriamo meravigliosi Cremlini; città dove i colori si riaccendono, dove il rosa ed il blu delle case risplendono al sole, dove i colori dei cartelloni pubblicitari si alternano alle luci intermittenti dei centri commerciali e dei fast food, al cui interno scorgiamo gruppi di ragazzetti vestiti all'ultima moda, con le cuffiette degli ipod alle orecchie.



Durante una passeggiata in una di queste grandi città, ci fermiamo ad ammirare un gruppo di donne in sgargianti vestiti tradizionali che intrattengono i passanti con un concerto di musica popolare.
Scopriamo così un'altra faccia della Siberia..
Ma non appena riprendiamo la strada e oltrepassiamo i confini metropolitani, ci ritroviamo ancora una volta nella Siberia che abbiamo imparato a conoscere “...una terra collocata fuori dai confini della storia, troppo fredda ed ostile per ospitare una vita significativa” (Colin T.).


Russia all'ingresso di ogni centro abitato si trova una postazione fissa della polizia. Qui ci hanno fermato una sola volta, ma il poliziotto che lo ha fatto, era spinto più dalla curiosità che da un qualche scopo “intimidatorio”, con la scusa di controllare i documenti voleva scambiare 4 chiacchiere (leggasi gesti) con noi.
Sugli Urali invece, siamo stati “beccati” in flagrante. Ci siamo trovati su questa strada di montagna, trafficatissima di camion stracarichi che naturalmente in salita arrancano ad una velocità ridottissima.
Stiamo dietro ad un camion che ci sta letteralmente affumicando, rettilineo ma striscia continua, dalla parte opposta non arriva nessuno, accellerata e sorpasso.
Finito il lungo rettilineo, inizia una curva, dopo la curva una pattuglia ci ferma e ci fa cenno di accostare, scendo e tolgo il casco, il poliziotto attacca “problem, problem”, e batte con il piede sulla linea continua facendomi capire l'infrazione che mi contestano.
E per la polizia russa oltrepassare una linea continua è, a ragione, più grave che un eccesso di velocità.
Ma noi ci chiediamo, come accidenti hanno fatto a vederci?... Dopo poco scopriamo l'arcano, prima della curva, dalla boscaglia spunta il poliziotto “vedetta” con un binocolo al collo.
Hanno ragione e noi completamente dalla parte del torto, quindi poco da dire se non “Sorry, sorry” e far capire a gesti che dietro al camion ci stavamo soffocando.
Il poliziotto ci guarda, poi guarda la targa, e senza nemmeno chiedere i documenti, ci fa cenno di sgomberare, ce ne possiamo andare... Per questa volta siamo stati “graziati”.
Per il resto con la polizia russa, saluti e niente più. Rispetto alle leggende metropolitane che circolano, con noi, poliziotti e milizia si sono dimostrati molto professionali.

In Mongolia mai nessun problema con la “poca” polizia, solo curiosità e scambio di sorrisi...

In Ucraina invece, grossi problemi, ci hanno fermato tre volte in due giorni per contestarci infrazioni inesistenti. Era chiaro l'obiettivo di “estorcere” denaro. Non abbiamo mai fornito documenti originali ma solo fotocopie, quindi alla fine dopo estenuanti trattative e perdite di tempo, quando capivano che non avevamo fretta e non avremmo pagato l'obolo, incavolatissimi ci lasciavano proseguire. La polizia ucraina è “scandalosa”.

...



Naten e Bert, due motociclisti belgi conosciuti nella Guesthouse durante il nostro soggiorno ad Ulan Batar, in sella rispettivamente ad una Bmw 1150 gs adv e un Ktm 990 adv.
Sono arrivati dal Belgio in moto fino a Mosca, da qui hanno caricato la moto sulla Transiberiana. Sono poi entrati in Mongolia in moto, e si sono diretti sulle piste verso est, dove Naten ha avuto una brutta caduta, si è trovato di fronte una lingua di sabbia inaspettata e lui è volato.
Conseguenze, la mano gli si è gonfiata come un melone e sul polpaccio gli si è aperta una ferita lunga una spanna. La moto ha riportato danni al serbatoio e alla parte anteriore.
Fortunatamente Bert è riuscito a trovare aiuto, hanno caricato Naten e la moto incidentata su un camion, e al primo posto di pronto soccorso la ferita è stata suturata.
Con lo stesso camion la moto e il motociclista acciaccato sono stati poi portati ad Ulan Batar, alla Guesthouse dove li abbiamo incontrati.
Al nostro arrivo loro erano lì da una settimana, li abbiamo trovati intenti a rimettere in sesto la Giessona, ma soprattutto le ossa.
Ma, nonostante tutto quello che era successo, neanche il minimo accenno di piangersi addosso. Dunque, non pensavano minimamente di abbandonare il viaggio...
Volevano a tutti i costi far ripartire la moto in modo da poter proseguire secondo i loro programmi originari, sarebbero tornati in Russia, non dalla strada più semplice, ma attraverso le piste che portano ad Ovest, verso gli Altai...
Due ragazzi straordinari, due gran belle persone, due “cittadini del mondo”.
Li abbiamo salutati una mattina ad Ulan Batar, e ci siamo dati appuntamento per la sera a Karkorin. Appuntamento rispettato e così abbiamo trascorso una splendida serata tra chiacchiere e risate, sotto un'incredibile cielo stellato davanti ad una Gher.
La mattina seguente, dopo colazione, ci siamo salutati, noi saremmo andati a visitare l'antica Karkorin, mentre loro avrebbero imboccato la strada, o meglio la pista in direzione degli Altai.
Naten e Bert, due amici, un gran bell'incontro!



In Mongolia, lasciate le uniche due strade asfaltate, ti trovi completamente immerso nella natura più selvaggia ed incontaminata. Viaggi per ore e ore su piste, più o meno conciate, e ciò che ti circonda è la steppa, e nulla più.


A volte ci è capitato di pensare di essere soli, di non essere visti ma,


ecco spuntare da non si sa dove un ragazzo in sella al suo cavallo, o laddove i cavalli hanno lasciato il posto alle moto, un pastore in sella ad una due ruote immancabilmente made in Cina. Si avvicinano, e iniziano a guardarti, incuriositi e basta, non fanno nulla, stanno lì e ti guardano senza dire una parola. Ma se tu gli sorridi e inizi a parlare, allora la cosa che vogliono sapere è da dove vieni, si accontentano di sapere questo di te, e poi il loro interesse passa alla moto. Anche i vicini russi erano attratti dalla moto, ma loro guardavano tenendo le mani dietro la schiena, non hanno mai toccato nulla.
I mongoli no, loro hanno necessità di toccare, di battere con le nocche dappertutto, devono avere un contatto fisico con gli oggetti che vedono.
Alla fine, sempre guardando il mezzo, alzano il dito pollice per farti capire che gli piace, e tu gli fai cenno “Ma anche la tua moto è OK!”, lui però non si lascia infinocchiare, e con aria schifata ti dice “China” e solleva il mignolo, il dito più piccolo della mano per dirti, “amico, sei gentile, ma questa moto fa schifo...” , e tu lo capisci benissimo...



Ed i mongoli?

Non basterebbero fiumi di parole per descrivere il nostro impatto con questo popolo.

Da quando ci siamo lasciati alle spalle la bandiera russa, e abbiamo attraversato il cancello oltre il quale sventolava la bandiera mongola, è iniziata una partita a scacchi che, qualche volta, abbandonati fanti e regine, si è trasformata in una partita di rugby, ma senza fair play.

Durante uno di questi incontri, mentre ci prestavamo a lanciare il pallone ovale in meta, abbiamo incontrato sul nostro cammino questi due personaggi.


Mi raccomando, se andate in Mongolia, state lontani da questi due signori...

Bellissima giornata ad Ulan Batar, abbiamo in programma di lasciare la capitale per andare a visitare la grandissima statua di Gengis Khan. Sappiamo che dal suo interno si può raggiungere l'altezza della criniera del cavallo, da dove si apre una balconata.

Arriviamo, parcheggiamo l'Ammiraglia nel parcheggio antistante, ed abbiamo il morale altissimo.

Cielo azzurro, un tiepido sole che fa capolino ed il nostro sguardo che si perde oltre la steppa, più in là, verso il profilo delle montagne.

Accediamo alla struttura sorprendentemente moderna e tenuta bene, saliamo con fatica le scale che ci portano fino alla cima.



Il panorama che si gode da quassù è fantastico, non ci sono parole, ci perdiamo tra questi spazi infiniti punteggiati da bianche gher e da qualche mandria al pascolo.

Ad un certo punto lo sguardo cade sul parcheggio, là dove la nostra ammiraglia riposava impettita sul suo cavalletto laterale. Thò! guarda, vediamo arrivare una macchina bianca che parcheggia poco lontano dalla nostra moto. Ne scendono due uomini. Saranno turisti venuti anche loro a godere della bellezza del luogo, pensiamo...

Peccato però che si avvicinano alla moto e iniziano a toccare. E io da quell'altezza inizio a fischiare, facendo cenno di allontanarsi. Ma questi né mi sentono né mi vedono.

Io continuo a fischiare per attirare la loro attenzione, ma in men che non si dica l'uomo più giovane, con una mossa improvvisa, sale sulla moto e la alza dal cavalletto. Ma guarda un po', solo ora si accorge che la sua corta gambetta non tocca a terra e quindi, si ribalta.

Io dall'alto del cavallo di Gengis vedo tutta la scena, la nostra Ammiraglia giace a terra, sul pavet, sopra il corpo del mongolo.

Inizio a correre giù dalle scale, Rosanna mi corre dietro urlandomi che ormai il danno è fatto, di non ammazzarmi almeno io nello scendere queste stramaledette scale.

Immazzarmi io? “Sono io che vado ad ammazzare... Io li distruggo...” lo spirito di Gengis Khan si era impadronito di me.

Va bene tutto, io sono per l'amicizia tra i popoli, odio la guerra e sostengo la pace, la violenza non porta mai a nulla di buono ecc. ecc. , ma... Ma c'è un piccolo ma, ma non mi puoi andare a rompere, consapevolmente, le scatole alla moto a più di 10 mila km da casa. Beh! se lo fai avrò il diritto o no di andare su tutte le furie?!

Comunque, in 5 secondi sono già nel parcheggio e trovo l'Ammiraglia acciaccata, ma sul cavalletto, ed i due seduti per terra davanti alla loro auto come se niente fosse successo...

Borsa acciaccata, paramani pure, il casco, assicurato alla borsa del lato della caduta, danneggiato, specchietto sfrisato.

E ci è andata bene, perchè nel tirarla su avranno usato quasi sicuramente il manubrio con il rischio di spaccare anche quello... In quel momento però “il ci è andata bene” non mi ha neanche sfiorato... Il resto della storia ve lo lascio immaginare...


Rosanna e la ricerca della calma perduta


...

La Russia, al di là della cortina di ferro, e con essa i suoi abitanti... Come saranno mai questi russi, diretti discendenti di Ivan il terribile?

Veniamo a sapere quotidianamente tutto ciò che di più banale succede, ad ovest, al di là dell'oceano Atlantico ma non sappiamo quasi nulla di coloro che abitano verso Est, oltre l'Europa.

E qui scopriamo l'inatteso, abbiamo incontrato un'umanità sì “stropicciata” “arruffata” ma, di una gentilezza, curiosità verso l'esterno e disponibilità, che non immaginavamo.

I russi sanno essere molto riservati, ma più spesso la curiosità ha, per fortuna per noi, avuto la meglio...


Stavamo cercando una caffè o una bottega, ci fermiamo così in una grande piazza dominata dalla statua del padre della rivoluzione, Lenin. Ce ne sono in tutte le città russe, grandi piazze perchè così potevano ospitare le grandi parate militari, tanto importanti alla propaganda comunista.

Troviamo una bottega aperta, acquistiamo il necessario per fare colazione e, mentre stiamo sbocconcellando una specie di panbrioche ammassito, che se andrà bene digeriremo per cena, notiamo due ragazzotti seduti all'interno di una Lada Volga che ci guardano.

Parlottano fitto, fino a quando uno dei due, quello con la maglietta rossa, si fa coraggio e si avvicina e ci mostra un rublo; pensiamo voglia chiederci una moneta, o scambiare il suo rublo con un euro, così, per ricordo. Macchè Sergeji vuole regalarci quel magnifico rublo, un rublo con la faccia di Yurji Gagarin.


Notiamo poi che il coraggioso astronauta è anche raffigurato su di un murales della piazza, magari è passato di qua.

Noi non parliamo russo, Segeji non parla che qualche parola di inglese ma riusciamo comunque a comunicare. Ci scambiamo le mail con la promessa che appena giunti a casa gli spediremo la foto scattata.

Per noi, questo gesto ha rappresentato l'ennesima riprova della gentilezza di queste persone...

...

Prima di partire, abbiamo ricevuto telefonate da amici che ci raccomandavano prudenza, di prestare tanta attenzione, la sicurezza è un problema, la Siberia non è sicura, “State attenti non appartatevi mai”, “Non fermatevi se qualcuno ve lo chiede, fingono magari di rimanere in panne per approfittarne e derubarvi”, e poi “attenzione alle rapine” ecc. ecc.

Insomma, avremmo dovuto immaginare di dover affrontare una sorta di farwest alla siberiana. Arriviamo così in Siberia con il coltello tra i denti, pronti a reagire con prontezza ad ogni malintenzionato, magari a colpi di casco.

Noi in Siberia ci siamo arrivati, ma per migliaia di chilometri, nulla, nemmeno la minima traccia di “paura”. Donne sedute ai lati della strada a vendere, in secchi di plastica, patate, funghi e frutti di bosco, nella speranza di raccimolare qualche rublo; e poi superiamo auto ferme sul ciglio della strada ma occupate solo a fare i “fatti propri”...

A dirla tutta, una lotta corpo a corpo siamo stati costretti ad ingaggiarla costantemente.

Ad ogni fermata abbiamo dovuto lottare ad armi impari contro le fameliche zanzare, e contro i terribili tafani.

Per il resto...


Ci fermiamo, come al solito, a dormire in una di queste pensioni che si incontrano lungo il percorso, le Gastiniza, scarichiamo i bagagli, doccia e poi ci sediamo a mangiare ad un tavolo del ristorante. A fianco al nostro tavolo è seduto un uomo solo, sulla quarantina e ci sorride Si chiama Alexander, è un piccolo imprenditore di Ekaterinburg, la città famosa per trovarsi al confine tra Europa e Asia.

Alexander ci racconta della sua vita, lavora nel campo della metallurgia e gli affari gli vanno a gonfie vele, è un imprenditore rampante, insomma un figlio del post-comunismo.

Ci parla con orgoglio della sua azienda, della moglie che gestisce un negozio e dei suoi 4 figli, spesso si interrompe e parla al telefonino.

In pratica cosa faceva, quando non si ricordava qualche parola in inglese chiamava il figlio che l'inglese lo stava studiando a scuola. Siamo rimasti a bocca aperta per gli sforzi che faceva per comunicare con noi.

Alla fine della serata non ha permesso che pagassimo in nessun modo la cena, in quanto suoi ospiti, e lo stesso la mattina seguente. Ci ha aspettato per fare con noi colazione, ed anche in questo caso in qualità di suoi ospiti.

Mentre facevamo colazione si è poi aggiunta al nostro tavolo Paulina (nella foto).

Paulina è una giornalista, tornava a Mosca dopo aver fatto visita alla sua famiglia, a Vladivostok. Questa ragazza, in macchina da sola si stava facendo tutta la transiberiana, da Vladivostok a Mosca. Ci è parso che per lei fosse una cosa normalissima e continuava a ripeterci sorridente “no problems, no problems” “the road is not good, russian roads are bad, bad road, but no problems!”...


Le strade russe, bad, bad road.

Bad road??? Le strade sono mediamente conciatissime, asfalto che si stacca, che cede, ondulamenti, grossi tagli e “scrostamenti” ci sono sempre. Ci sono poi dei tratti dove la situazione diventa anche peggiore e allora ci si trova in mezzo ad un traffico, prevalentemente di grossi camion, che fa la gincana tra buche più o meno grosse. Prendere in pieno una buca di queste voragini significherebbe quasi sicuramente dire addio al cerchione.

Quando poi piove, la tensione in sella sale alle stelle...

Noi siamo arrivati alla conclusione che comunque in un viaggio come questo la fortuna è fondamentale. Probabilmente, sono gli stessi russi ad esserne convinti...


Siamo fermi in uno dei caffè che si incontrano regolarmente lungo le strade siberiane. Fanno comodo, ci si ferma, ci si scalda, si mangia, si beve e si scambiano immancabilmente 4 chiacchiere con la gente del posto.

Padre e figlio incuriositi priam dalla moto, e poi da noi, ci fanno le solite domande: “Italiaaaa?????” “Scolca chilometr?” e quando spieghiamo che siamo diretti in Mongolia, l'uomo più anziano strabuzza gli occhi e ci fa cenno di aspettare. Pensiamo vada a prendere la macchina fotografica per fare una foto alla moto o insieme a noi. No, quella saremo noi a volerla fare quando scopriamo cosa ha in mente.

Entra in macchina, una grande Lada bianca, stacca dallo specchietto retrovisore un medaglione, torna di corsa e ce lo porge “Talisman, Talisman”. Ci vuole regalare questo medaglione della Chiesa Ortodossa affinché ci protegga da quello che considera probabilmente un viaggio da fuori di testa... Mentre ci stritola in un fortissimo abbraccio prima di lasciarci ripartire, sono sicuro che sta pensando “...che cavolo ci andranno mai a fare due italiani in moto in Mongolia...”.

Partiamo, ma ci giriamo un'ultima volta per un saluto, e loro sono ancora lì che ci guardano e ci salutano come se stessimo per partire per la luna...

(Talisman)
...

Prima della partenza, avevamo organizzato un cambio gomme, ed avendo trovato un referente a Barnaul è lì, che nella fase di rientro, avevamo programmato il cambio pneumatici.

Siamo naturalmente partiti con un treno di gomme nuove, in base ai nostri calcoli non avremmo dovuto avere problemi. Non avevamo però fatto i conti con lo stato delle strade in Russia... E se questo poteva essere un grosso problema in Russia, in Mongolia era una “tragedia”.

Avremmo dovuto cambiare i nostri piani, niente piste mongole, ci conveniva ritornare sui nostri passi, verso Ulan Ude, e cercare di fare durare le gomme almeno fino a Barnaul.

Ma qui ecco entrare in gioco il fattore fortuna.

Arriviamo a Ulan Batar, e cerchiamo la Guesthouse che sappiamoe essere il luogo di incontro privilegiato dei globetrotter che si trovano a passare dalla Mongolia, e che contiamo di utilizzare come campo base per le nostre escursioni nella capitale e dintorni.

Ed è qui che abbiamo la fortuna di incontrare Roberto, un motociclista toscano che stava ormai solo aspettando di prendere l'aereo che lo avrebbe riportato in Italia. In sella alla sua Ktm 990 adv aveva infatti attraversato la via della seta per raggiungere la Mongolia, e ora, aveva deciso di lasciare qui la sua moto. L'anno prossimo sarebbe tornato a riprenderla e avrebbe proseguito il suo viaggio, questa volta con destinazione Canada.

Appena ha saputo che avevamo le gomme finite, si è reso disponibile a darci le sue, tanto lui per il viaggio del prossimo anno avrebbe comunque fatto pervenire delle coperture nuove.

“Non c'è problema” mi dice “Io oggi pomeriggio ho l'areo, ma tu con calma domani puoi prenderti i miei pneumatici e al loro posto mi monti i tuoi. L'importante è che mi richiudi la moto con la catena e la ricopri così come io l'ho lasciata”.

Che dirgli, mi sta dimostrando una disponibilità enorme e non so veramente come ringraziarlo.

Mi accorgo però che anche la sua gomma anteriore è messa male, e qui interviene Renè, l'austriaco proprietario della Guesthouse. Non riusciamo a capire come, ma tira fuori dal baule posteriore del suo Jeeppone un anteriore nuovo, un tassello che va benissimo per la nostra Kappona.

Siamo a cavallo, siamo troppo felici, con questo nuovo treno di gomme, possiamo pensare di fare l'itinerario che avevamo tanto sognato, e che ci avrebbe forse portato a scoprire il lato più suggestivo della Mongolia...

Roberto è un uomo con lo spirito libero del Viaggiatore, è stato un vero piacere incontrarlo.



Questa immagine racchiude una piccola parte della nostra Mongolia, una bambina sorridente sulla soglia di una Gher in una mattina in cui il vento scuoteva la quiete della steppa mongola.

A dire la verità però, questo viaggio non nasce con destinazione Mongolia, il nostro obiettivo era entrare in Mongolia ma poi proseguire verso Pechino. Certo, una bella pretesa per due che viaggiano in solitaria e che quest'anno, fino quasi all'ultimo, non avevano la certezza di poter partire.

Ci siamo imbattuti, sì contro il muro di gomma della burocrazia, ma soprattutto dei costi. Costi esagerati per poter accedere e poi proseguire con il nostro “solo” mezzo fino alla capitale cinese.

Si può fare, e il modo più semplice è quello di aggregarsi ad un gruppo, in modo da condividerne le spese, ma il tempo, il tempo era quello che ci mancava.

Allora abbiamo iniziato a concentrarci su quello che poi è diventato il nostro viaggio “2 Ruote nella Steppa”: un volo d'aquila attraverso l'Europa intera che ci avrebbe condotto in Siberia. E dalla “Terra che dorme” saremmo entrati nella mitica Terra del Lupo della Steppa, Gengis Khan. E da qui saremmo poi rientrati con un giro ad anello.

Chissà se saremmo riusciti a mettere le nostre 2 ruote nella steppa...

Dopo 50 giorni di viaggio e 22.536 km percorsi possiamo dire “Missione compiuta”, le due ruote nella steppa ce le abbiamo messe, eccome se ce le abbiamo messe.



La Siberia, una regione immensa che si estende per poco meno di 9 milioni di chilometri quadrati, dove per giorni interi ci siamo trovati a seguire una lingua di asfalto di cui, il più delle volte, non riuscivamo a vederne la fine.

La Siberia ci ha letteralmente avvolti con la morsa dei suoi spazi infiniti.


Non ci era mai capitato nei nostri viaggi precedenti di vedere cartelli stradali con indicazioni di tali distanze chilometriche. In questo caso, il nostro riferimento intermedio era la cittadina di Irkutsk che era a soli, si fa per dire, 1820 km.

Ci è capitato di comunicare, a gesti e con qualche parola di inglese, con persone incontrate lungo il percorso, e ci siamo resi conto che, per loro, il viaggiare da una città all'altra, non si misura tanto in chilometri, quanto in giorni necessari ad arrivarci, perchè “il tutto” dipende non solo dalla distanza, ma soprattutto dalle condizioni delle strade.

Noi da quel cartello, per raggiungere Irkutsk, ci avremmo impiegato tre giorni.


Mai e poi mai fidarsi delle indicazioni stradali russe nei pressi degli ingressi delle città. Ti fanno fare immancabilmente dei giri assurdi.

Il giorno prima a Kansk, per esempio, ci hanno fatto imboccare un qualcosa che definire circonvallazione è un eufemismo. Ci siamo trovati a percorrere un sentiero in un bosco con fango fino alle ginocchia, ed il tutto per non farci passare dal centro abitato.





Ma in questo caso no, questa è la condizione della strada “principale”, dopo un po' di pioggia, e che porta verso il lago Baikal. E' un arteria su cui viaggiano, tir, furgoni, macchine e sidecar ognuno dei quali zizzagando sceglie la parte migliore della carreggiata, per poi all'ultimo momento spostarsi per lasciare strada a colui che in quel pezzettino di strada avrebbe tutto il diritto di starci, o il più delle volte si applica la “guida del più forte”. Il più “cattivo”, ovvero colui che non avrebbe scampo se abbandonasse la sua traccia, non si muove , spingendo l'altro a spostarsi... Noi, basandoci sul fattore “curiosità” abbiamo fatto la parte dei “duri”, o almeno di questo abbiamo voluto convincerci, e con noi onestamente hanno usato le buone maniere...

Continua...


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